Alce chiude la sua trilogia con “Giulia ed io”

Con “Giulia ed io”, Alce chiude la sua trilogia sull’amore eterno, iniziata con “I colori di Frida” e “Orfeo ed Euridice”. Se i primi due capitoli si muovevano tra riferimenti artistici e mitologici, qui il racconto diventa intimo, personale e profondamente umano.
Il brano ci porta tra i banchi di scuola, dove nasce un amore semplice, puro e disarmante nella sua autenticità. Non ci sono proclami o idealizzazioni, ma gesti, ricordi e quella spontaneità che resiste al tempo: “Mi ami o no? Un po’ più vecchi e ancora scemi… mi vuoi o no?”. Versi che uniscono ironia e tenerezza, dipingendo un legame che cresce, invecchia, ma non perde la sua essenza.
Musicalmente, “Giulia ed io” si presenta come una ballata emotiva sospesa tra malinconia e dolcezza. Le sonorità non inseguono i canoni della musica attuale: Alce sceglie di raccontare attraverso un suono che si fa più narrativo che radiofonico, quasi a voler sottolineare la natura intima e sincera di questa canzone. Strumenti acustici e tocchi moderni si intrecciano in modo delicato, creando uno spazio sonoro che lascia respirare il testo.
La voce di Alce è il filo conduttore, fragile e intensa al tempo stesso, capace di trasformarsi in confidenza: “Ora vivo solo e sto abbastanza bene… apparentemente, non lo giurerei”. In quelle parole, come in “Hai i ricordi nei cassetti… i capelli tutti bianchi… ma io ti amo più di ieri”, emerge un amore che non è solo ricordo, ma presenza viva, capace di attraversare gli anni e restare intatto.
La figura di Giulia diventa simbolo universale: rappresenta ciò che è stato e ciò che poteva essere, la dolcezza della memoria e la forza dei legami che resistono. “Giulia ed io” non è soltanto una canzone d’amore, ma un invito a riconoscere nelle parole, nei suoni e nei silenzi la propria storia.
È un brano che non rincorre le mode, ma sceglie di farsi racconto, poesia in musica. E forse è proprio questo il suo punto di forza: arrivare al cuore con semplicità e verità.
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